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98 | Adolfo Albertazzi |
IV.
Si diede alla campagna. Bello vagare qua e là lungo i sentieri ombrosi o per le strade solitarie; bello mansuefare con le buone maniere i cani infuriati e chiamar con voci infantili i vitellini e i puledri; bello intendersi con le stelle o ridere con la luna.
Alle case le donne che lo riconoscevano gli chiedevano qual disgrazia lo avesse colpito; quali dispiaceri avesse. Una volta la sua faccia era così allegra! Adesso invece era così magro!
Si schermiva; ricevuto il tozzo di pane, scappava rapido. E finchè poteva resistere, preferiva la fame a mendicar dalla gente.
Ma ahimè! Mentre egli sfuggiva alla vita degli uomini, altra vita sfuggiva a lui. Quella sua sensibilità, quella sua intimità con gli animali e con le cose, comportabile nei limiti del paese, nel mondo sconfinato diventava faticosa troppo; un continuo sforzo; un esaurimento lungo e mortale.
Ed era tanto debole!; pativa la fame. E più che per la fame, pativa perchè in quel lento mancare di sè a sè stesso pareva venirgli meno il mondo, che già viveva con lui e di lui. A poco a poco gli si estingueva l’energia animatrice, povero Mattucco!
Un giorno giacque sotto un olmo in un campo