Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/81


dall'eldorado 67


— Avete fame? — comprese e chiese Polla. — Poveretto! Anch’io ho fame! Ma io non posso offrirvi che un bicchier d’acqua!

Quasi indovinasse le condizioni economiche dell’ospite, l’altro affrettava un segno della mano verso l’involucro rimasto sul pavimento. E Polla ubbidì. Presso al punto ove ai fianchi dell’arnese (fosse corpetto o giubba) eran fisse le ali, egli avvertì subito due bisacce; nè esitò a introdurvi la mano, quantunque il forestiero già accennasse di tastar più in basso. Ma..., e là cosa c’era? Sentiva un peso non lieve, come di ciottoli, e per accertarsi se era o no la zavorra, introdusse la destra. Questa volta Polla, che non credeva in Dio, che credeva solo nel «fattore economico», esclamò:

— Dio! Non sono pezzi di vetro! Non sono sassi! — Che cosa erano? Che cosa erano?

Erano diamanti, smeraldi, oro! E non un sogno! Ma realtà! Un miracolo! Diamanti! smeraldo! rubini! oro! Fu tale la meraviglia di Polla che attese a lungo prima d’accorgersi come l’infelice girasse e chiudesse gli occhi, e sveniva. Presto, più giù, ove disperatamente il misero aveva volto il cenno, l’ospite trovò un grazioso vasetto piccolo piccolo, che quasi si aperse da sè effondendo un cordiale profumo.... Conteneva roba così buona che ne bastò un pizzico a ristorare d’un tratto dal profondo del cuore, il forestiero estenuato. Il quale poscia offerse il vaso all’amico; sorrise d’un suo dolce