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30 | la giocatrice |
occhiate dimesse, a rassegnazione e a doglianza, come a ripetere: «Io v’amo!» Ella aveva talvolta sorrisi di scherno e lampi d’odio. Ma poscia la fortuna si stancò di favorire chi non la curava, anzi l’incolpava di danni; e Claudia vinse; vinse tanto, in poche settimane, che la somma, sebbene profusa in beneficenza, scandalizzò la compagnia e il mondo intorno.
Godeva Gianni di quelle voci avverse; ne accrebbe la gravità vendendo, quasi per bisogno, due cavalli; inoltre un giorno, senza bisogno, chiese quattrini in prestito a uno di quegli amici ostili. Repugnanza e rimorso non tardarono quindi ad abbattere la gentile colpevole, e le partite a scopa moderate a poche lire tornavano alla memoria di lei come, dopo il fallo, il bene della virtù perduta. Ah retrocedere! Ah limitarsi alle pure briscole!
Ma Gianni, ch’era sano, robusto e caparbio, procedeva nelle scope, e peggio.
— Quest’inverno vado a Montecarlo — le disse un giorno.
— Non voglio! — ella esclamò. — La roulette è stupida.
Ah sì? Egli tacque dicendo press’a poco con gli occhi:
«La roulette è stupida? E la briscola no? e il macao? e la scopa? e la bestia? e io? e voi? Non comprendete dunque il vostro lungo delitto? il mio lento suicidio? Non potremmo fare qualche altra cosa di meglio?»