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310 in arcadia

insolenza. Il muratore, sempre più insospettito, tacque. Tacquero i tre, urtandosi con il gomito l’un l’altro. E il lungo corteo andava più piano; finchè voci e musica cessarono. Ma allora la siepe non contenne più i curiosi: alcuni la saltarono; altri vi fecero un varco; altri l’allargarono; e la gente affrettò e si strinse di qua e di là dal fosso, intorno all’albero; al quale il figlioccio di Carlone aveva già poggiata la scala, già ricevendo dalla priora e dal vecchio la «fioriera», per attaccarla ai rami e fermarvi, nel mezzo, l’imagine.

Ecco il momento. I cospiratori, che vorrebbero far cadere la «fioriera» come per disgrazia, e che a forza di gomiti e di urti si son fatti innanzi quasi per veder meglio, non dovrebbero che dare una spinta alla scala, e la darebbero se il muratore non la tenesse ferma e non vigilasse.

Timoroso, il Chiù ride. Anacleto fissa il muratore con aria di sfida, ma non si muove; lo Zoppo esorta: — Dagli! — Dagli! — susurra anche, ridendo, il Chiù; sicchè Anacleto, mal disposto dallo sguardo del muratore, che ha dinanzi, e dalle sollecitazioni, che ha di dietro, si rivolta e dice troppo forte: — Dategliela voi altri la spinta! Io ho da tener a posto questo qui.

— Me? — il muratore grida con un braccio a difesa della scala e l’altro in aria. Il segreto è svelato, la cospirazione fallita; invano Anacleto risponde: — Dicevo così per ridere....