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in arcadia | 307 |
Il milordo gli lasciò andare uno sgrugnone: il colpito l’afferrò, e, accapigliati, caddero. Tutto ciò in minor tempo di quanto bisogna a raccontarlo; così presto che, quantunque costrette anch’esse ad arrestarsi, le ultime ragazze e i preti non avrebbero pensato a una lite se non avessero visto accorrere di qua e di là coloro che speravano dividere i contendenti.
— Cosa c’è? cosa è stato? Avanti! avanti!
Di dietro, chi spinge; chi interroga; chi allunga il collo: arriva don Sigismondo. Ma d’innanzi, le prime ragazze si son voltate; il crocifero chiama lo «scalco»; questi, che giungendo un momento prima avrebbe subito fatto largo, ora lascia andar bastonate alla cieca sui litiganti e sui pacieri: e un paciere afferra lui; e lui, perduto il mazzuolo, invoca aiuto. Don Sigismondo intanto con le mani nei capelli e gridando misericordia torna indietro, verso i colleghi e il curato; e i suonatori e i cantori corrono innanzi ad aiutare il crocifero e il vessillifero, che son corsi ad aiutare lo scalco.
Chi l’avrebbe mai detto? Parve una scintilla in un pagliaio; forse perchè, alle esortazioni e alle preghiere di don Sigismondo, i sacerdoti furon concordi nel pensiero e nell’errore di riportare il Santo all’Oratorio; e tutta quella gente rimase come senza ritegno, senza rispetto a nulla, senza timor di Dio. Accesa da un’improvvisa voglia di combattere, la folla precipitò d’ogni parte alla mischia; addosso ai cantori e ai suo-