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306 | in arcadia |
torio dove per la porta spalancata era esposta agli sguardi di fuori l’altare tutto adorno e luminoso. Ivi, dopo il Jube Domine, San Michele s’inchinò a destra e a sinistra a benedire la folla genuflessa, tra cui erano molti signori e signore; e cantori e preti ripresero il canto; e il cappellano diede l’ordine del ritorno.
Per ritornare come nella venuta, si comprende che gli uomini, i quali prima erano in coda, avrebbero dovuto far ala sì che passassero lo «scalco», il lampadaro, il crocifero, il vessillifero e quindi le «figlie di Maria». Ma non tutti così fecero. Quasi la funzione fosse compiuta, alcuni rimasero proprio in mezzo alla strada, per alloccaggine e storditezza; e quando giunsero le vergini, non si ritrassero; ne interruppero, confusi e confondendo, la prima fila. Era tra quelli il Moretto, uno di quei due giovani che, già si disse, amavano con incerta fortuna la stessa «figlia di Maria»; mentre l’altro, il Sartoretto, attendeva e guardava bieco a costa della strada. E il restare del primo là in mezzo fu sospettosamente interpretato dal secondo, il quale appena la bella gli fu dinanzi con le compagne, senza tante cerimonie le si mise a fianco.
Arrossì la vergine. E impallidì e si fermò allorchè il Moretto, d’improvviso, affrontava il rivale e diceva:
— Cosa pretendi tu?
— Io? — ribattè il Sartoretto. — Fare i miei comodi! e tira via, milordo, che è ora!