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in arcadia | 295 |
— Che la processione andasse tutta insieme fino alle due strade; e dopo, una parte alla Madonnina e l’altra all’Oratorio; e dopo....
— Bel consiglio! — interruppe il curato elevando la voce. — Credete voi che si rassegnino, loro là, a far senza del Santo? Volete che restiamo noi senza il Santo?
Ma come il campanaro si grattava la testa perchè non sapeva ribattere, il cappellano raccolse lo sguardo di cielo in terra, ispirato, fervido; si alzò in piedi.
— Signor curato, lasci fare a me! Bella idea! Accomoderò tutto io! — E si accomodava il nicchio in testa. — Corro alla Ca’ scura.... Vado e torno!
— A far che cosa? a far che cosa? — domandava il parroco.
— Lasci fare a me!
La Perpetua, che aveva inteso, guardò dalla finestra di cucina al pretucolo che usciva, e mormorò sorridendo: — Sì, sì: lasciate fare a lui, povero don Sigismondo!
Ebbene: il cappellanino biondino, roseo e zuccheroso, fu lui che piegò Carlon de’ Carli. Gli piacque nel presentarglisi con l’atto di Ponzio Pilato e col dire: — Per me, viva la Francia o viva la Spagna, è lo stesso! — E parlò senza ambagi diplomatiche, senza apparenza politica. Sapeva che se la domenica prossima accadessero dei guai, il signor curato, che aveva il solo torto di essere un po’ cocciuto, avrebbe disgusti