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288 | in arcadia |
prendersela con le carte; ma quelle benedette parole: — Dite su, Carlone: vi dispiacerebbe a voi se invece d’andare alla Madonnina....; — quelle parole non riusciva a pronunciarle: gli si annodavano in gola per la certezza di non riuscire a bene; per il timore di far peggio, e per il dispetto di dover pregare invano quell’ostinato vecchio e riconoscerne senza profitto l’autorità.
Finalmente il lunedì precedente alla festa il prete andò alla Ca’ scura zoppicando; disse per un gran male ai piedi. Scherzò anche, sebbene addolorato ai piedi: lui già vecchio e Carlone un giovinotto!
— Basta — concluse con un sospiro mentre raccoglieva le carte dal desco — ; domenica, se Dio vuole, non avremo da passare su tutti quei sassi come gli altri anni....
Carlone levò gli occhi dalle carte e glieli piantò in faccia a mo’ di chi stando su l’avvertita discopra il tiro.
Pallido, il curato seguitò senza guardarlo:
— Andremo all’oratorio....
Ma aveva appena compiuta la parola che Carlone lasciò cader forte il pugno sul deschetto, gridando:
— Ah questa volta il suo ingegnere non se la cava! Finchè campo io, glielo dica a mio nome, non se la cava!
— E c’è da stizzirsi? — ribattè dolcemente il curato, rosso d’ira.