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in arcadia | 285 |
il tabacco rimasto dalla presa sul panciotto più rosso che nero; ma abbastanza affezionato al suo gregge e al suo ovile e amico a Carlone de’ Carli, col quale da anni e in ogni stagione faceva la partita quotidiana a casa di lui, all’ombra del moro o sotto il portico del forno o nella stalla. Veramente nei primi anni di cura la prevalenza del vecchio aveva urtato il parroco e quasi inanimito a un conflitto di poteri; presto però egli si era convinto che disgustarsi Carlone sarebbe stato come disgustarsi tutta la parrocchia e che non potendo contrastare a un avversario, conveniva preferirne l’amicizia. Carlone inoltre era liberale verso la chiesa; e il figlio maggiore di lui serviva da collettore nella «compagnia di San Vincenzo», che s’era estesa per le parrocchie vicine; e tra le donne della Ca’ scura si sceglievano quasi sempre o la «priora» o la «rettora».
Ma venuto che fu al Palazzetto il nuovo proprietario, súbito il curato dubitò d’una rivalità fra il vecchio capoccia e l’ingegner Stoia, che da paladino clericale s’intrometteva nelle faccende ecclesiastiche pur in campagna, nè dubitò che tra i due litiganti resterebbe lui con la testa rotta quando non riuscisse a barcamenare. A ciò non era molto abile, e piuttosto che giovare, nuoceva alla sua intenzione onesta con far a Carlone troppi elogi del forestiero e a questo troppi elogi di Carlone: nondimeno volse il mese da che le radici della quercia eran state