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282 | in arcadia |
— Andremo incontro a dei guai....
— No!
Ma alla mattina dell’ottavo giorno Carlone disse ai tre figli e al nipote maggiore:
— Prendete le zappe, il piccone e la mannaia. — E quelli compresero che a tagliarla preferiva abbatterla, e tacquero.
Come i ragazzi volevano seguirli, il nonno, che precedeva per il sentiero, si rivolse:
— Via! voi altri!... Non voglio nessuno!
Soli loro cinque andarono. Cominciarono ad aprire la buca, ampia, intorno al pedale che tre uomini non abbracciavano; mentre il vecchio assisteva immobile con le mani in tasca. Apparvero lombrichi; apparvero fra la terra gialliccia le prime barbe, molli e scure, che allo scavar delle vanghe restavano recise con netto taglio, o, tócche, si spelavano bianche come serpi. Finchè serpeggiando si delineò la prima radice di un rosso terrigno, grossa quanto un braccio. Scalzata che fu con i picconi, Carlone recise lui la prima radice in due colpi. E alcuni passeri che s’inseguivano dalla siepe, non impauriti da quel battere della scure, volarono su la cima e garrirono tra le frondi più alte e lontane.
Taciti i figli ripresero ad approfondire la buca: scoprirono a destra, più giù, un’altra radice più grossa, che il primogenito tagliò. E poi un’altra. E poi un’altra; e sempre intorno al pedale restavano di quelle radichette bianche, lisce, umide