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in arcadia 277

siderato spesso come salvatore. All’annunzio: — c’è il nonno! c’è il nonno! — la Cà scura cadeva di subito in una quiete conventuale.

Tornava Carlone dalla città tutt’intronato, stanco, con l’oscura e quasi atterrita coscienza della sua prossima morte, perchè in quelle ore laggiù egli si era sentito fuori del suo tempo; e col pensiero avvinto alle cose vedute pativa un fastidio da cui stentava a liberarsi. Se gli affari gli erano andati a modo, si consolava alla vista dei nipotini e borbottava: «Loro, laggiù, hanno il vapore che ha avvelenata l’aria, ed hanno perduto il timor di Dio: dunque stiamo meglio noi altri!» Se poi gli affari gli erano andati male, allora lamentava: — Noi diciamo che si stava meglio una volta; e a Bologna dicono lo stesso: che si stava meglio una volta. Dunque la gente a questo mondo non la trova mai piana, in nessun sito. — Ma egli era un povero ignorante; e per più giorni faceva il cattivo in casa, quasi temesse d’aver perduta o temesse di perdere l’autorità famigliare.

Ed ecco che a turbarlo in simile modo risparmiandogli la fatica di viaggi alla città, ecco che ad amareggiare gli ultimi giorni del patriarca venne lassù l’ingegner Stoia, erede d’un conte pontificio, ch’era morto a Roma e a Rioronco non si era visto quasi mai. La strada nuova divideva il possesso di Carlone dal possesso dell’erede: alla massiccia Cà scura s’opponeva, nell’estimazione pubblica, il nobile Pa-