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256 l'agnello

qualche poetico discorso e avrebbe voluto esserle presentato dal collega; ma, disgraziato sempre, non osava nemmeno accostarsi al gruppo.

— Numero...!: quattrocentododici!

Eh? Che? Quattrocento...? Non era il suo? Sì sì: l’aveva lui, il professore Riccardo Biscaglia, il 412!

— L’ho io! — E lo mostrava. — Io!

— Bravo! — gridò dal gruppo il collega.

Biscaglia avanzò, rosso in viso, coraggiosamente. Ma diè indietro alla vista del premio.

L’agnello!

— Un agnello! — esclamarono i prossimi al banco. — Un agnello! — l’agnello! — Si rideva; si applaudiva.

E Biscaglia salì e quindi discese dal palco; pallido come chi ascende al patibolo senza speranza di discendere.

— Bravo! — ripetè più forte e contento il collega, a vederlo col cesto nelle mani.

Fu quel «bravo», venutogli da un uomo di spirito, che assumendo quasi il valore di una lode meritata per un’ardua prova rianimò il professore. E di animo ne aveva bisogno: ella era lì dinanzi e sorrideva un po’ triste; diceva con gli occhi: «Perchè l’ha vinto lei e non io?»; e: «Lei gli vorrà molto bene, è vero?»; mentre la mano senza guanto, bella, ripassava sul capo dell’agnellino; e gli occhi e la bocca del professore, che pareva una balia col fantolino in braccio, non dicevan nulla.