Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
il polso | 227 |
cere, aveva obliato la natura di lei, e che s’ella parlasse — e parlerebbe — il mondo riderebbe di lui e non di lei, della quale, tanto era stramba, nulla poteva sorprendere. Anzi, mentre egli considerava fra sè il capriccio di lei, si stupiva di non essersene accorto prima; e si rassegnava a giudicar quel capriccio meno enorme di quanto l’aveva giudicato prima.
Il marchese Arnisio era un bel giovane, alto, pallido per sangue nobile da secoli, con modi di secolare nobiltà. Che meraviglia se la moglie, gelosa della dama la quale egli serviva, se n’era accesa a dispetto del mondo e del cavalier servente?
E l’orgoglio del conte dolorava; e l’altro affetto, quello della dama, che ancora non era spento del tutto, sussultava d’un ultimo spasimo. Peggio, assai peggio che la derisione del mondo, sarebbe la derisione della marchesa quand’ella innamorasse e seducesse il marito!
Perciò il battuto, fugato, disperato La Fratta concepì il disegno di salvare il suo decoro e la sua dignità nella stima del mondo e nella stima della marchesa.
Ond’eccolo in cerca del marchese Arnisio. Lo trovò per istrada; e al saluto di lui non fece nè parola nè cenno. L’Arnisio gliene chiese la causa, e della risposta fu così poco contento da ammonire La Fratta che non salutare chi merita rispetto e onore è villania. Ma poichè la taccia di villania a chi merita rispetto e onore