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222 il polso


Al conte questa parve un’invenzione mirabile. L’abate continuò:

— Non si falla; ma ricordati che io confido la ricetta alla tua segretezza.

— Son cavaliere! — rispose La Fratta. E corse dalla marchesa Arnisio.

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Essa, all’entrare del conte, era abbandonata sul canapè con la testa reclinata mollemente e la mano sinistra su gli occhi. Ai passi lievi dell’amico non si mosse; e al saluto di lui e al bacio di lui su la sua destra, rispose con un sorriso ambiguo, meno soave che doloroso.

— L’emicrania, eh? — domandò La Fratta.

— Sì — rispose ella in tono flebile.

La Fratta sospirò triste pur godendo d’un’emicrania almeno quel giorno opportuna a’ suoi fini.

— Chi l’avrebbe detto ierisera? — seguitò egli, non per rammentare il tempo felice nella miseria ma per avviarsi súbito alla meta. Prima però chiese: — Desiderate un po’ di melissa?

— Sì — ripetè la marchesa, perchè di prammatica quel giorno era il sì; e trasse un breve sorso dalla boccettina che l’amico le accostò alle labbra.

— Che sguardo febbrile! — disse il conte prima ch’ella riabbassasse le pálpebre; e sedutosi