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ta a studiare di quale e quanto e quanto duraturo amore fosse capace il cuore piccoletto della graziosa Arnisio. Perchè ella non aveva con lui quelle espansioni compiute, quei confidenti abbandoni e neppure quei moti meditati o spontanei di gelosia che tutte le donne amando, o fingendo d’amare, sogliono avere. E nello studio La Fratta aguzzò così i suoi occhi e il suo pensiero a leggere nel pensiero e negli occhi della dama che, ahimè!, troppo credette d’apprendervi.
Le ire e i languori; le inquietudini fanciullesche e le remissioni di donna usata alla vita; i capricci, le allegrezze, le noie traevan forse cagione non solo dall’indole bizzarra, ma da un intimo, segreto travaglio che le eccitava e tribolava lo spirito: lo sguardo di lei, spesso stanco o vagante e la voce spesso velata e mesta, dicevan forse che il suo spirito vagava dietro un inafferrabile bene, finchè, con uno sforzo mal nascosto di volontà, non le riuscisse di riaversi o mentire; e allora abbondava di cachinni e di frizzi, cattiva a un tempo e vezzosa. Anche, l’assiduo disturbo dell’emicrania, invece che la simulazione d’un malanno alla moda, poteva essere la dissimulazione di un urgente rovello; gli sdegni di lei contro lui non erano forse, come egli aveva sempre creduto, modi di civetteria sagace, ma più tosto non rattenuti impeti di sfogo sincero; e quelle carezzevoli occhiate, quelle occhiate lunghe e sentimentali,