Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
una “scampanata„ | 213 |
Miauu...; chicchiricchì...; ohn: ohn: ohn!...; buum buum buum...; taratatà taratatà, taratatà...; cococodè!...; e, prevalenti, strazianti, i cian cian dei metalli e il dan dan dei campanacci.
— Bravi ragazzi! Bravi! Venite a bere!... Ohe!... gente! Chi vuol bere?
— Vino buono, vino buono! — ripeteva la Faziòla. — E di cuore, ragazzi!
Súbito porse il bicchiere pieno a colui che ebbe di fronte. Quegli lasciò cadere la secchia disarmonica per bere d’un fiato, e gridar dopo:
— Viva gli sposi!
— A voi! — disse la sposa riempiendo a sua volta il bicchiere per un altro.
Gli ultimi, di dietro, sospingevano: — Cosa c’è? — Cosa fanno?... Dan da bere! — Un bigoncio! — Ohe! ci siamo anche noi! — Vino!
Di súbito la meraviglia, l’ammirazione e un senso quasi di gratitudine avevan còlti gli animi; di súbito, secondo avviene nella gente rude, i cuori s’erano aperti a un sentimento nuovo, opposto.
Non come altri, nella condizione loro, la Faziòla e Fulgenzio avevano gettato dalla finestra, per vendicarsi, immonde cose o inani minacce; o non avevan taciuto, essi, in una vile rassegnazione; ma passavan da bere, e vino buono! Succedevano alle grida folli e ai motti sconci, voci di gioia e motti che esprimevan benevolenza; e tutti in una volta.
— La fanno da signori, gli sposi!