Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
192 | la fortuna di un uomo |
Fomite alla discordia era anche il trovarsi d’accordo. Se egli dava torto alla moglie, erano raffacci, lagrime, svenimenti, convulsioni: un inferno; e se le dava ragione o taceva, essa inveleniva perchè non voleva la considerasse malata o matta.
Addio al tempo in cui la sventura era sconosciuta e non temuta! Addio sereni giorni del celibato! Addio voluttuosi giorni della luna di miele!
E come per l’addietro si era compiaciuto di non aver figlioli, risparmiandosi tutte le pene dell’allevamento e dell’educazione, così adesso il povero Gaspare attribuiva alla mancanza dei figli la sua disgrazia coniugale. E almeno avesse avuta la suocera, che per lui sarebbe stata, adesso, di sollievo. Ridotto a desiderare la suocera!
Ma finalmente Erminia si ammalò davvero.
— Isterismo — disse il medico. — Si distragga! — E al marito — : La distragga.
Ahi! come distrarre una creatura che preferiva Orvieto a Milano? che non voleva uscire di casa? che non voleva veder nessuno e non conoscer nessuno? che non parlava quasi più? E venne il dì che a Gaspare parvero invidiabili i giorni in cui almeno si litigava.
Durante quel silenzio ostinato e irragionevole della sua signora i più neri pensieri, i più foschi sospetti trovavano luogo pur nella testa di Bicci; tali, che una sera anticipò d’un’ora il ritorno a