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176 | la fortuna di un uomo |
te giova di réclame: e che egli, se non fosse cauto, poteva restar privo d’Erminia un’altra volta. «D’altra parte — riflettè — si consola più presto una vedova propriamente detta che una fanciulla vedovata prima del tempo ed inesperta»; e però gli bisognerebbe aspettare.
— Quanti mesi?
Gaspare non temeva d’offendere la bontà di Erminia augurandone più breve che fosse possibile il cordoglio.
E verso la metà di settembre Gaspare fu a trovare in ufficio il cavalier Squiti; che, desolatissimo, gli disse:
— Morte fura i migliori e lascia stare i rei.
Rimorso come reo, Gaspare parlò sinceramente, in un’induzione dal caso singolare a un genere di sventura.
— Ha ragione, signor cavaliere. Che cosa terribile dev’essere morire nella pienezza della gioventù! con uno splendido avvenire! amato!...
— Per fortuna — rispose il cavaliere, — Griboldi è morto senza saperlo, d’una meningite acuta!
— Meno male! — fece Bicci. Dopo chiese, pallido: — E la signorina?
L’altro scosse il capo.
— Sempre lagrime; sempre sospiri; non vuol più veder nessuno; non esce di casa: un martirio! Le è venuto a noia anche il clarinetto,