Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/183


la fortuna di un uomo 169

pagno. Finito il pezzo, la signora Squiti depose la calza e battè le mani; la signorina avvertì che la gente si arrestava per la strada ad ascoltare; il cavaliere, deposto il clarinetto, abbracciò il compagno dimenticandosi d’esser grave.

— Oh che orecchio! che orecchio!

Ma gli altri pezzi ebbero peggior sorte, per colpa di Gaspare che cadeva in pensieri estranei. Pensava: «Io non sono forse meglio di colui? Si può dire un bel giovane? robusto come me? — Avvocato! — E non sono ingegnere, io? Che meriti avrà? Niente: fortuna! Quest’è fortuna! Una moglie bella — così bella! — ricca; e orfana...; nemmeno la suocera!»

— Pazienza...: Terza battuta; là! — riprendeva il cavaliere.

Al diavolo anche il clarinetto! Bicci sudava: con il freddo nel cuore.

Già infelice, sembravagli d’esser stato sventurato sempre; di dover essere infelice sempre, per tutta la vita; e pativa della più grande sventura che possa capitare a un uomo: quella d’innamorarsi d’una ragazza innamorata e fidanzata d’un altro.