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152 | la fortuna di un uomo |
— Nossignora, sono io.
Era la moglie dell’ingegner Tredòzi, da poco venuto ad abitare al primo piano.
— Stia comoda. Ci vedo — aggiunse Gaspare, mentre accendeva un cerino.
Ma la signora continuava a fargli lume; ed egli, per non bruciarsi, gettò il resto del cerino e salì più in fretta.
Ella disse: — Credevo fosse mio marito.
— Troppo gentile; s’accomodi..., s’accomodi — ripeteva Bicci, che era corso a suonare il campanello.
Se non che Luigi o dormiva o era fuori.
— Colgo l’occasione — disse la signora — per farle, benchè in ritardo, le mie condoglianze.
— Grazie.
Ed ella, nell’attesa, proseguiva:
— Sempre sciagure! Siamo proprio al mondo per soffrire!
— Mah!... — fece Gaspare in tono mesto, con lo sguardo in alto quasi intravvedesse lassù, nella vòlta, la ragione suprema della vita. E Luigi non veniva! Tornò a suonare.
La signora Tredòzi sorrise.
— Una fatalità: la mia donna, malata, e il suo Luigi....
Allora il sangue diè un tuffo a Gaspare. Fosse morto anche Luigi?
Ma no, eccolo.
— Eccolo, eccolo! Grazie...; buona notte, signora. Grazie! Scusi!