Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/162

148 la fortuna di un uomo


Perchè, senza dubbio, lo zio Giorgio aveva provveduto in bel modo e in perfetta regola alle sue ultime volontà; senza dubbio sarebbe il nipote l’erede di tutte le sostanze, all’infuori di una giusta donazione a Luigi e all’infuori d’alcuni lasciti per beneficenza.

Veramente, nè lui, Gaspare, aveva bisogno di nulla, nè il patrimonio dello zio, il quale troppo per l’addietro aveva speso a pro’ della patria e molto sempre, nel beneficare, era cospicuo. Di più: agenti e fattori ladri; disgrazie di grandinate e carestie, etc.

A conti fatti....

Gaspare faceva i conti quasi senz’accorgersene: tanto, la possidenza di Poggiogrande; tanto, la risaia di San Piero; tanto, la villa: una villa malconcia dagli anni, desolata, nell’incuria, laggiù, in una pianura malinconica.... Un ristauro sarebbe stato necessario.

In questo mentre il fiaccheraio, libero per quell’ora del suo arbitrio, credè che il più bel luogo ove condurre un signore svogliato e senza meta fosse il giardino pubblico. Ma come Gaspare, a mo’ di chi si ridesta d’improvviso, si vide fra la gente che andava al passeggio o ne tornava, rimorso dalla sua sventatezza ordinò in fretta:

— No di qua! Torna indietro!

Ed ecco che, al voltar della carrozza, nel voltar gli occhi....

Dio! che bellezza!