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138 | la fortuna di un uomo |
l’età cioè, in cui tutti pericolano — lo zio lo sorresse donandogli trattati d’igiene e trattati intorno le cause e le forme di morbi insanabili: per di più, le precauzioni non essendo mai troppe, gli regalò il codice penale. Così Gaspare crebbe sano di mente e di corpo; non di molto ingegno, ma abbastanza da comprendere che il grande ingegno rende infelici; abbastanza di cuore da commiserare il prossimo suo, ma non tanto tenero da patir danni, a mo’ dello zio Giorgio, per gli altri; abbastanza di buon senso da persuadersi che i desideri superiori ai mezzi tolgono quiete e pace, e da scorgere in sè e fuori di sè prove indubbie della sua buona fortuna.
Oltre a questo, anzi prima di ogni cosa, chi non gli avrebbe invidiata la nativa arrendevolezza ai bisogni, alle convenienze, alle contingenze, ai consigli della ragione?
Gaspare Bicci non si preoccupò nemmeno delle due sole pretese in cui lo zio Giorgio insisteva. L’una: che suo nipote dimostrasse come i ricchi debbano servire la patria ugualmente ai poveri e come l’anno di volontariato sia un’ingiustizia e una vergogna; l’altra: che suo nipote conseguisse una laurea. «È vero — diceva — che troppe volte è meglio un asino morto d’un dottore vivo; ma giacchè gli asini vivi superano i dottori vivi, e quelli credono aver necessità di questi, è lecito trar partito dal comune pregiudizio.»