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la fortuna di un uomo 135

prestato quattrini al primo; e come questi, da ignorante qual era, non dimenticava i benefizî, quegli, da filosofo qual era, si affezionava ai suoi debitori, dimentico dei crediti.

In più d’una battaglia Luigi, il servo, aveva sospettato che il compagno cercasse la morte, e il signor Bicci che il compagno volesse salvargli la pelle. Solo alla presa di Palermo, sul ponte, erano stati divisi nella mischia; ma il domani, dopo lunghe ricerche, l’incolume aveva rinvenuto il ferito all’ospedale: ferito al ventre e a una gamba in modo che si credeva impossibile rattopparlo. Ne rincresceva allo zio Giorgio; e più gli rincresceva che a Luigi, esuberante di giovinezza e di energia, dovesse spiacer molto il morire; e, con cuore di filantropo e con mente di savio, s’era proposto di prepararlo al passo dubbioso affinchè lo varcasse meno malvolentieri.

— Morire per la patria, in campo di battaglia o dopo la battaglia, è sempre glorioso e dolce.

Fra gli spasimi Luigi rispondeva:

— Una delizia. Ma io non muoio!

— Speriamo — augurava l’altro. Poi seguitava: — Non credere, del resto, che la morte sia brutta come dicono i deboli. Seneca.... — e aveva tradotto la sentenza dello stoico.

E Luigi:

— Il suo Seneca può dir quel che vuole; ma io non muoio!