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il cappello del marito 111

certarne qualche colpa, per scoprire difetti che spiacessero anche a Giovanna.

Ora si comprende che arrivato a meditare l’opportunità, anzi la necessità di accusare e incolpare un amico come Varchi, inconsapevolmente, si può dire, e presto, l’animo e il pensiero di Galardi dovessero volgersi a fallaci impressioni e a giudizi erronei.

Cominciò a credere che con tutte quelle faccende e fatiche e affannosi guadagni Alfonso presumesse di rinfacciare il quieto e dolce far nulla a chi aveva il diritto di godersi il frutto di fatiche e di guadagni aviti e paterni.

«Colpa mia se sono ricco?» Galardi diceva tra sè. Oh! forse suo padre non aveva lavorato tanto, e il suo prozio non l’aveva lasciato erede col titolo di nobiluomo per fargli godere il mondo? «Dovrei forse lavorare anch’io come una bestia?»

Senza occuparsi di politica, Giulio era conservatore quanto Alfonso, che si arrabbiava anche per la politica; nondimeno il primo aveva già per il secondo un rancore quasi di partito.

«Tutto mi annoia? — Giulio proseguiva a meditare. — Ma starei forse allegro in Consiglio comunale? Non sono ambizioso, io!» Per lui, Alfonso era ambizioso e intristito nelle misere gare di campanile e di municipio.

«Mi piacciono le donne? Grazie! Non piace anche a lui Giovanna?» Alfonso la teneva, quella povera donna, in un assoluto dominio;