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il cappello del marito | 109 |
na procreò l’un dopo l’altro due mirabili maschiotti; Alfonso s’ingolfò sempre più nelle faccende, non restandogli tempo oramai che d’accarezzare i bimbi dopo pranzo; e Giulio mutò quattro o cinque illusioni d’amore in delusioni, trovando le une e le altre sempre identiche. La migliore società infatti è sempre tale e quale: in tutti gli uomini, in tutte le donne — gentiluomini e gentildonne — che la compongono; in tutte le cose; in tutte le passioni; in tutti i capricci.
Sì sì! Che noia!
L’amore? noia! Il gioco? noia! I teatri? noia! I cavalli? noia! Uf!
Appunto da questo terribile male, la noia, che è la figlia di tutti i vizi, dovevano cominciare i guai di Galardi; e cominciarono appunto dal dì che all’entrare in casa Varchi gli parve di tornare in porto, non quale nocchiero dopo lunga tempesta, ma quale pescatore che non ha pescato niente. I guai cominciarono quando egli, stufo e ristufo di troppe donne «per lui», contò i suoi anni e si chiese: «Se prendessi moglie anch’io? una donna come...?»; quando sentì una fitta al cuore, mentre abbassava il capo alla dura riflessione che gli venne fatta: «Di Giovanne ce n’è una sola!» Altro che stupida! Bella sì, ma tutt’affetto per i figli, per il marito, per la casa; onesta, pacifica, tenera, economa.
A farla corta, Giulio Galardi s’innamorò senza volere (e fu veramente il suo primo amore) della