Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/117


dall'eldorado 103

quali i campanelli elettrici stentano lo sgombero, le donne gridano piangendo la sorte dei mariti o dei congiunti come un dì le donne corintie, quando nell’anfiteatro della loro città vedevano l’ultima lotta dei loro padri, dei loro mariti, dei loro figli, con i Romani vittoriosi.

Ahimè! Ciò che di quel giorno merita ricordo e lagrime fu invece la morte di un innocente; furono il modo della morte e il nobile e gentile aspetto della vittima.

Edon, da prima, stava benissimo e aveva detto a Polla che molto lo divertiva quella fiera lotta, pur non sapendo se parteggiare per i ministeriali o per gli oppositori; gli parevano tutti uguali.

E si era messo a ridere alle prime contumelie; e a ridere forse troppo, con le mani sul ventre, all’inizio dell’attacco. Ma poi, alle gesta dei pugni e dei calci, gli era accaduto come accade a un ragazzo che veda una tenzone di marionette, e si era abbandonato a un parossismo di riso. Così non aveva avuto più lena all’ultimo colpo: allorchè Polla, travolto nella demenza che da basso s’era diffusa alle tribune, acceso in volto, bieco, feroce, con le braccia contro di lui e i pugni stretti:

— Smettila! — aveva gridato. — Finiscila! asino! farabutto! mascalzone! miserabile!, o ti butto là giù. Smetti di ridere e di godertela, o.... ti strozzo!

A veder quel ceffo d’assassino, a ricevere