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158 | il diavolo nell'ampolla |
Ebbene, sì: da qualche tempo egli si sentiva davvero infelice; ma non perchè si era lasciato rapir dalla scienza: anzi perchè alla scienza non si era dato con amore più saldo. Inoltrandosi negli anni e negli studi, a quel dilettarsi di una cultura superficiale e varia, al compiacimento di poter discorrere, con nozioni vecchie e nuove, di astronomia, di fisica e di chimica, di botanica e zoologia e mineralogia, eccetera, e di potere, con vive rimembranze, adornarsi di storia e filosofia e poesia, gli era seguìto nell’animo un senso di rammarico, come in chi s’avvede di consumare invano le sue forze.
E ora sapeva che non sapeva nulla di nulla, e sapeva tanto che immergersi nell’ignoto con l’ingenuità d’un bambino o d’un barbaro gli sarebbe parso ineffabile gaudio.
Ma anche ciò non poteva, perchè quanto aveva appreso gli suscitava dalla terra e dal cielo, in mille modi e mille forme, le tentazioni dell’ignoto e le prove della sua ignoranza particolare. E gli costava uno sforzo dire a sè stesso:
— Che importa il tuo soffrire, la tua ambizione insoddisfatta, se ti ricordi, Raimondo, che Sirio...?