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La stella Sirio | 153 |
diabile pur in città, dove si trasferiva l’inverno. Ma nel luogo nativo quasi per necessità doveva sorreggere i conservatori, e prepararli alla riscossa. — Bel gusto! — mormorava, malcontento, Raimondo. — Bel gusto consumar gioventù, forze, ingegno in simili lotte, per simili conquiste! Al solito: dispetti, ire, arrabbiature. E inganni da opporre, e insidie da evitare.... Ah ecco!
Aveva trovato: credè aver trovato ciò che avevan detto quelle pettegole Raffi, Una delle solite: la storia di un appalto favorito dal sindaco e conceduto alla lega dei birocciai, per la ghiaia; di una frode nella misura delle birocce. — E io, forse, dovrei stare attento quando passano di qua, per la strada, le birocce, e accertarne la misura, io, che non ho niente da fare? Io? Povero Alfonso! Ma, e come c’entra Turri?
Per non perdere il sonno che arrivava, Raimondo si disse: — Domani sera lo domanderò a lui. — E chiuse il libro. E lo schiarimento ultimo sembrò venirgli appena spento il lume: — Turri avrà gridato alla frode senza prove sicure, e i socialisti se la prenderanno, al solito, con lui e con noi. Anche con me? Oh io non ci penso, povero Alfonso, a queste gran cose! Sta pur sicuro! Sirio....