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Cinquantamila lire | 145 |
Gli era necessaria una tregua; un po’ di riflessione pacata; di silenzio; le forze umane hanno un limite, perdio!
E ordinò al fiaccheraio di condurlo, invece che a casa, all’uffizio del Consorzio.
Ivi per fortuna l’aspettava un telegramma il quale lo chiamava, d’urgenza, a Ferrara. Per non scrivere o telefonare alla moglie mandò un impiegato a casa a mostrar il telegramma; dicesse alla signora ch’egli ritornerebbe solo al dimani.
E partì davvero subito.
Ma non poteva fuggire, miserabile, da sè stesso; non poteva fuggire al dilemma che gli si veniva determinando sempre più chiaro nella mente:
O il mondo sapeva, e sarebbe inesplicabile la sua condotta, la sua ipocrisia, la sua dedizione alle convenienze quando e in qualunque modo egli desse a vedere che non ignorava, già prima, la colpa della moglie; o il mondo non sapeva, e guai per lui se si vendicasse. Rivelerebbe lui la sua sventura. La pubblica moralità non giustifica il marito che ammazza, o scaccia la moglie, o se ne separa, se il castigo non chiarisce, non specifica la colpa.
Anche in treno, e poi la notte insonne, nel letto dell’albergo, cercò la via a superar sè stesso. Invano. Il pensiero di rimettere all’avvenire una
albertazzi, il diavolo nell’ampolla. | 10 |