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Il chiodo 115


scartati, sin dai primi tempi, la letteratura e gli studi affini, che addormentavano il ragazzo e gli davano il senso di muffa, c’era da ritenerlo segretamente disposto alle scienze anzi che alle arti. Ciò rispondeva pure al segreto desiderio del maestro. Farne, per esempio, un grande chimico?

Questa speranza derivò logicamente dalla considerazione che la vecchia Cleofe non salvava dalle mani di Celso neppur uno dei suoi garofani fioriti.

— Mi piacciono tanto i fiori! — esclamava lui con la voce soave delle ragazze che glieli chiedevano.

Ecco forse la via buona, che conduceva — oltre che alla floricoltura — alla botanica, e allo studio degli elementi costituitivi e produttivi del terreno: cioè alla chimica agraria, e quindi alla chimica in generale.

Tutto un inverno per il conte e Celso, e anche per la Cleofe, passò in una illusione di primavera. Contemplavano cataloghi di giardinieri, leggevano manuali di orticoltura, vedevano l’orticello attiguo alla casa mutato in Eden. Celso, che aveva già quindici anni, ci vedeva anche, nell’Eden, delle belle ragazze che esclamavano con voce soave: — Mi piacciono tanto i fiori! — ; e sopportava le spine: