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Tolse alle fronde il mele, e ’l latte e ’l vino
Tolse ai rivi correnti; ascose il foco;
345Fe il lupo predator dell’umil gregge,
Dei colombi il falcon, dei cervi il tigre,
E dei pesci il delfino; ai negri serpi
Diede il crudo veneno; ai venti diede
L’invitta potestà d’empier il cielo
350Di rabbioso furor, di pioggia e neve,
E di franger il mar tra scogli e lidi,
All’estate il seccar le frondi e l’erbe,
E l’aprir il terreno; al verno diede
Lo spogliar, l’imbiancar le piagge e i monti,
355E col canuto giel legare i fiumi.
Poi, per sempre tener l’ingegno aperto
Del miser seme umano, ascose l’esca
Sotto la dura terra, onde non saglia
Fuori all’aperto ciel, se in mille modi
360Non la chiama il cultore; e ’ntorno pose
Mille vermi crudei, mill’erbe infeste,
E di Soli e di giel perigli estremi.
L’aspra necessità, l’usanza e ’l tempo
Partorir di dì in dì l’astuzia e l’arte;
365Fu ritrovato allor versare i semi
Tra i solchi in terra; e per le fredde pietre
Fu ritrovato allor il foco ascoso:
Allor prima sentîr Nettuno e i fiumi
Gli arbor cavati, e poi di merce carchi:
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