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Se non l’ampie pianure e i verdi prati
Che ’l Po, l’Adda e ’l Tesin rigando infiora,
Qui vedrà le campagne aperte e liete,
Che senza fine aver vincon lo sguardo;
Ove il buono arator si degna appena
1050Di partir il vicin con fossa o pietra:
Vedrà i colli gentil, sì dolci e vaghi
E ’n sì leggiadro andar, tra lor disgiunti
Da sì chiari ruscei, sì ombrose valli,
Che farieno arrestar chi più s’affretta.
1055Quante belle sacrate selve opache
Vedrà in mezzo d’un pian, tutte ricinte
Non da crude montagne o sassi alpestri,
Ma dai bei campi dolci e piagge apriche!
La ghiandifera quercia, il cerro e l’eschio
1060Con sì raro vigor si leva in alto,
Ch’ei mostran minacciar coi rami il cielo,
Ben partiti tra lor, ch’ogni uom direbbe
Dal più dotto cultor nodrite e poste
Per compir quanto bel si truove in terra.
1065Ivi il buon cacciator sicuro vada,
Né di sterpo o di sasso incontro tema,
Che gli squarce la veste, o serre il corso.
Qui dirà poi con maraviglia forse,
Ch’al suo caro liquor tal grazia infonde
1070Bacco, Lesbo obliando, Creta e Rodo;
Che l’antico falerno invidia n’aggia.