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Delicate vivande; e fugga il foco.
Sia soverchio velluto, a fin che possa
Ben soffrir il seren, la pioggia e ’l gielo:
E ch’al dente del lupo schermo vegna.
Candido lo vorrei; ché più lontano,
915All’oscura ombra, si dimostra altrui,
E men puote ingannar guardiano o gregge.
Minacciosa la fronte, il ciglio torvo,
Sempre innanzi alla schiera il passo muova;
E col fischio e col grido avvezzo tale,
920Che riguardi sovente accanto e ’ndietro.
Or vengo a visitar l’ingegnose api,
Di cui prender si deve il frutto primo
Del suo dolce liquor, quando si vede
Ch’Apollo lascia il Tauro, e ’n oriente,
925Poco avanti l’aurora, il volto mostra
La candida Taigete, e col bel piede
Ripercotendo il mar si leva in alto.
E ben più largamente il buon villano
Può depredar il mel; perché l’estate,
930Sendo il tempo sereno e i venti in bando,
(Benché vinca il calor) non manca a quelle
Mille fior, mille erbette, in mille valli
Ove può meno il sol, che danno l’esca
Che lor troppa furò l’avara mano.
935O beato colui che in pace vive,
Dei lieti campi suoi proprio cultore;