Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Dell’odorato cedro, o del gravoso
Galbano, o d’altro tal ch’a lui simiglie;
885Che discaccian col fumo dai lor letti
La vipera mortal, l’umida serpe,
Che s’han fatto ivi il nido, e son cagione
(Colpa del suo guardian) d’interna peste.
Qui s’avveggia alla fin, che ’l tempo è giunto
890Di tor la veste all’umil pecorella,
Ch’ha troppa intorno, e non si sdegna o duole,
Per ricoprirne altrui, torla a se stessa;
Purché d’acqua corrente o di salse onde
Sia ben purgata appresso; e poi d’amurca,
895D’olio, di vin, di zolfo e vivo argento,
E di pece e di cera e d’altri unguenti
Le sia fatta difesa al nudo dorso
Contra i morsi e venen di vermi e serpi.
Né fra l’ultime cure il fido cane
900Si dee quinci lasciar; ma dalle cune
Nutra il rozzo mastin, che sol conosca
Le sue gregge e i pastori, e d’essi prenda
Il cibo ai tempi suoi, d’ogni altro essendo,
Come lupo o cinghial, selvaggio e schivo.
905Non muova mai dalle sue mandre il piede:
Seguale il giorno; e poi la notte pose
Su la porta, o tra lor, come altri vuole.
Sia suo letto la terra, e tetto il cielo;
Né mai veggia l’albergo, e mai non guste
910