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E Creta, e per quei mar le merci porta,
Ch’indi ne svella, e le più nobil piante
750Con terra avvolte cui sovente bagne,
Ne le rechi fedel nel suo ritorno:
E se la prora sua volge all’occaso,
Dal bel regno di Gallia, ove il gran giogo
Del freddo Pireneo vede il mar nostro,
755Tal pianta prenda; ch’assai più soave
E più salubre avrà la forza e ’l gusto.
Né il sen partenopeo, né mille appresso
Degli italici lidi fieno avari
Di generose vigne e d’altri frutti,
760Che chi vorria contar, potrebbe ancora
Narrar l’arene ch’in Cirene avvolge
Zeffir cruccioso, o quando l’Euro è torbo
E che rabbioso vien, quante onde spinga
L’aspro ïonio mar nei liti suoi.
765Già si cavin le fosse, e tanto avanti,
Ch’il freddissimo Coro e cotto e trito
Aggia il mosso terren pria che la vite
Se gli commetta in sen; poi si ricuopra
Sì leggier, che l’umor trapasse addentro.
770Quei che voglion servar fedele e ’ntera
La santa maiestà di sì bella arte,
In un simil terren più di le piante
Tendon sepolte, perché a poco a poco
Gustin l’albergo, e che natura in esse
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