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Che la riva o la piagga o ’l colle adombre.
La morta cima, il ramuscel troncato
Tagli; ch’assai sovente il secco offende
400Premendo il verde, e le conduce al fine.
Poi tutto quel che di soverchio nato
Di parto adulterin nel tronco truova
O nelle sue radici, accorto sveglia
Il buono sfrondator; ch’all’altra prole
405Di legittimo amor non furi il latte:
E de’ rami miglior, quantunque verdi,
Non perdoni a tagliar; ma quelli istessi
Ch’adombran più da quella parte donde
Passe il raggio del sol, che possa meglio
410Dentro tutto scaldar; se vuol più lieto
Il ricco arbore aver, più dolci i pomi.
E perché il pio cultor non deve solo
Sostener quello in piè ch’il padre o l’avo
Delle fatiche sue gli ha dato in sorte,
415Ma far col bene oprar che d’anno in anno
Cresca il patrio terren di nuovi frutti,
Quanto l’albergo umìl di figli abbonda:
Né veggia, oimè! tra pecorelle e buoi
La figlia errar dopo il vigesimo anno,
420Senza ancor d’Imeneo gustar i doni,
Discinta e scalza; e di vergogna piena
Fuggir piangendo per boschetti e prati
L’antica compagnia che in pari etade