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aver pace d’altrui d’un anno almeno,
E d’avuta pietà non torna ingrato.
Pur chi avaro pensiero o povertade
Sproni al troppo bramar, suggetto mute;
Perch’il cibo cangiar risveglia il gusto.
240Ove il tristo lupino o l’umil veccia
Féro a’ venti tenor coi secchi rami;
Più con la vanga in man che coll’aratro,
La qual più muove addentro e più rinnova
La stanca terra, e più bramata viene
245A gli amici legumi e molte biade,
Può l’altr’anno versar vari altri semi,
E del frumento ancor, sol che non lasce
O di cenere immonda o di letame
Porgergli aita, o far al tempo poi
250L’aride stoppie sue di Vulcan preda,
Che per mille cagion più beni apporta;
E sovente opra sì, che s’il buon campo
Trova al suo desiar benigno il cielo,
Tanto felici e belle alza le biade,
255Che nel tempo novel menar conviene
La pecora e l’agnel che col pio morso
Loro affreni talor l’aperto orgoglio.

Pensi appresso fra sé, ch’al gran cultore
Nei bei giorni miglior non basta sola
260La sementa, il zappar, solcar la terra;
Ma che le vigne ancor, le piante e i frutti,