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Del suo vomer novel la prima piaga.
Avanti a tutti, il pio bifolco truove
Il più grasso terren che meno abbonde
130D’umor soverchio; il vago colle umìle,
La piaggia aprica che più guarde il sole,
Il secco monte: ma l’acquosa valle,
Finché più caldo sol non vesta il Tauro,
Non senta oltraggio: e nel terren più leve,
135Sia raro e basso; e nel più vivo e lieto,
Spesso e profondo sia menato il solco;
Perché l’erbe peggior che in questo sono,
Mostrando al ciel le sue radici aperte,
Restin sepolte, e che nell’altro poi
140La sua poca virtù non resti spenta.
Sia dritto e largo, e di lunghezza avanze
Poco oltra più che cento volte un piede.
Ove in alto pendente il campo stia,
Meni a traverso pur l’aratro e i buoi;
145Perché se l’onda poi, che scorre in basso,
Scender trovasse alle sue voglie il rigo,
Rapidamente, oimè! donna e regina,
La sementa e ’l terren trarrebbe al fiume.
Ma guardi prima ben (ché troppo nuoce,
150Né lo puon ristorar fatica o tempo)
Che non tocchi il suo campo, o ferro adopre,
Se troppo il senta dalla pioggia oppresso;
Perché tal diverria (creda a chi ’l prova)