Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/213

Lo spesso risarchiar; ché d’esso gode.
Il ventoso navon, la rozza rapa,
Sì congiunti tra lor, ch’assai sovente
1210L’un si cangia nell’altro; ma si gode
Questa dentro all’umor, quel vuole il secco;
E lo spesso sfrondar, di pari entrambe
Fa il ventre raddoppiar: né reste indietro
Il simigliante a lor rafano ardente,
1215Il selvaggio armoraccio, e la radice
Ch’ama nebbioso il ciel, che nell’arena
Ha più forte il sapor, che vien maggiore
A chi le sveglie il crin, e ch’odio porta,
Come il cavolo ancor, all’alma vite.
1220La purpurea carota, la vulgare
Pastinaca servil, l’enula sacra;
Mille altre poi, che sì cognate sono,
Che scerner non saprei; già il fragil porro
Tempo è di seppellir, che lieto e fresco,
1225L’infinite sue scorze al gielo affini.
Or nel bianco terren (che gli è più caro),
Senza letame aver, si pianti l’aglio;
E rinnuove il lavor, poich’egli è nato,
Ben sovente il cultor, calcando spesso
1230Le sormontanti fronde, acciò ch’al capo
Si stenda ogni virtude: e chi lo pone,
E chi lo colie ancor, mentre la Luna
Sotto l’altro emisfero il mondo alluma;