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Ch’io non saprei contar, ch’empion d’onore
Non pur l’almo giardin, ma ch’alla mensa
Portan vari sapori, e ch’han virtudi
Ascose e senza fin, che p"n giovare
In mille infermità donne e donzelle,
645In lor mille desir, chi ben l’adopre.
Or dell’erbe minori in guardia surga
Lungo il trito sentier che ’n mezzo siede
Dell’ornato orto suo, dove sovente
E l’amico e ’l vicin si posa all’ombra,
650Qualche arbusto maggior che serre il calle,
E con ordin più bel la vista allegri:
E se talor gli vien la chioma svelta
Da non pietosa man, robusto possa
Contro ai colpi d’altrui restare in vita,
655E nol spogli d’onor dicembre o luglio:
La pallidetta salvia, il vivo e verde
Fiorito rosmarin, l’olente spigo,
Che ben possa odorar gli eletti lini
Della consorte pia. Chi il vago mirto
660Trapiantasse tra lor, chi il crespo busso,
O ’l tenerel lentisco, o l’agrifoglio,
O ’l pungente ginepro; assai più fida
Arìa scorta di quei, né men gradita:
Il parnassico alloro, e che non monte
665In alto a suo voler, ma intorno avvolga
Le sottil braccia che Farsalia onora;