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Tosto che noi veggiam che i bei crin d’oro
Già tra gli umidi Pesci Apollo spande,
Truove il saggio ortolan gli eletti semi
Pur dell’anno medesmo (ai troppo antichi
455Non si può fede aver; ché la vecchiezza
Mal vien pronta al produr); riguardi ancora,
Che di pianta non sia dal tempo stanca,
O che ’l tristo terreno, o ’l poco umore,
O ’l poco altrui curar l’avesse fatta
460Di forza o di sapor selvaggia e frale:
E non si pensi alcun, che l’arte e l’opra
Possin del seme rio buon frutto acc"rre.
L’ampio cavol sia il primo; e non pur ora,
Ma d’ogni tempo aver può la semenza:
465Brama il seggio trovar profondo e grasso;
Schiva il sabbioso in cui non aggia l’onda
Compagna eterna; e più s’allegra e gode
Ove penda il terren: vuol raro il seme,
Vuol largo il fimo; e sotto ciascun cielo
470Nasce egualmente, ma il più freddo agogna;
Rivolto a mezzodì, più tosto surge;
Più tardo all’Orse, ma l’indugio apporta
Tal sapor e vigor, ch’ogni altro avanza.
Or la molle lattuga, e ’nnanzi ancora,
475Acciocché al nuovo april cangiando seggio;
Dentro a miglior terren colonia induca,
Tempo è di seminar; seco accompagne
(Che