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A chi fallisse pur con tutti i modi
Da poterlo irrigar, più addentro cacci,
Quando zappa, il marron; ch’è il sezzo schermo
Contro al secco calor del Sirio ardente.
Chi vuol lieto il giardin, la creta infame
105Deve in prima schivar; poi la tenace
Pallente argilla, e quel terren noioso
Che rosseggiando vien; l’imo e palustre,
Ove in bel tremolar coll’aure scherzi
La canna e ’l giunco; e ’l troppo asciutto ancora,
110Ch’abbia il grembo ripien d’irti e spinosi
Virgulti e sterpi, o di nocenti; e triste
E di mortal liquor produca l’erbe,
O le piante crudei, cicute e tassi,
O chi s’agguaglie a lor: che fuor ne mostra
115Il venen natural che ’n seno asconde.
Quella terra è miglior, ch’è nera e dolce,
Profonda e grassa, e non si appiglia al ferro
Che la viene a impiagar, ma trita e sciolta
Resta dopo il lavor, ch’arena sembre;
120Che partorisca ognor vivace e verde
E la gramigna e ’l fien; che in essa spanda
Ora i suoi rozzi fior l’ebbio e ’l sambuco,
Or le vermiglie bacche a tinger nate
Dell’arcadico Pan l’irsuta fronte;
125Ove a diletto suo verdegge il pomo,
E ’l campestre susino; ove la vite,