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Quanti han lassate già le patrie case
Per fuggir i vicin, portando seco
In paese lontan gli Dei penati!
Or, non si vider già sì lieti campi
E l’Albano e l’Iber lasciar, fuggendo
375Del Nomade vicin l’inculta rabbia?
Il Siculo e l’Acheo cangiaro albergo
Per l’istessa cagion: quelli altri appresso,
Ch’ebber in Lazio poi sì larga sede,
Gli Aborigeni, gli Arcadi e i Pelasgi,
380Qual altra occasïon condusse allora
Di lasciar il terren che tanto amâro,
E trapassar del mar gli ampli sentieri,
Se non l’impio furor, gli aspri costumi
Dei rapaci tiranni intorno posti?
385Ma non pur quei che fuor d’umana legge
Popoli ingiusti e rei ch’a schiera vanno,
Rendon di abitator le terre scarche;
Ma quei privati ancor, che pochi han seco
Compagni intorno, fan non meno oltraggio
390A chi del suo sudor, tranquillo e queto,
Cresce il paterno ben; siccome vide
Già il famoso Parnasso e l’Aventino,
L’Aütolico quel, questo altro Cacco;
E quanti oggi ne tien l’Italia in seno,
395Dalle rapaci man di cui, sicuri
Non pur armenti e biade, arbori e vigne