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sapor e l’odor ch’offende altrui:
S’è pur forza indugiar, sovente il giorno
75L’apra e rinfreschi ventilando in alto.
Cerchi a premerle poi la grave mole,
Aspra quanto esser può, rigida e dura;
E ben purgate pria da foglie e rami,
Al pesante suo incarco le commetta:
80Discioglial tosto, ché dannaggio avrebbe
Dalla vil compagnia dell’atra amurca,
La qual non dee però gettarse indarno
Dal discreto villan che sa per pruova
Quanto agli arbori suoi giovò talora,
85E quante erbe nocenti ha spente e morte;
E ch’ungendone i seggi, l’arche e i letti,
I vermi ancise che lor fanno oltraggio.
Quinci dentro forbiti e saldi vasi
L’umor ch’è giunto al suo perfetto stato
90Dispensi e cuopra, e gli procacci albergo
Tepido e dolce, ove trapasse il lume
Del Mezzogiorno, che dell’Orse ha tema.

Or la tagliente scure il buon villano
Prenda, e felice i folti boschi assaglia,
95E le valli palustri, e i monti eccelsi:
Or il frassin selvaggio, or l’alto pino,
E quegli arbor miglior ch’ivi entro vede,
Tronchi e ricida; e nol ritenga orrore
Che si cruccino in ciel Tirintio e Giove:
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