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soverchio quel ch’a molti manca:
Poi si volga a pensar che l’anno appresso
615S’altro tanto ne vuol, non gli bisogna
Passar tutto sedendo in ozio il tempo;
Ma che l’opra e ’l sudor l’han fatto tale.
Torni alla vigna sua, non le sia ingrato
Del prezïoso vin ch’ei n’ha ricolto;
620E nel tempo avvenir l’avrà più larga.
Come sia il mezzo ottobre, zappi e smuova
La terra in giro, e le radici scopra
Della vite gentil; e quante truova
Picciole barbe in lei, che non più addentro
625D’un piede e mezzo sien, col ferro ardito
Le taglie e spenga; perché queste, ingorde,
Furando il cibo alle profonde e vere,
Le fan perire alfin, onde ne resta
La vigna alfin colle radici in alto,
630Ch’or dal freddo comprese, or nell’estate
Dalla sete e dal caldo, a morte vanno.
Ma guardisi al segar, che non arrive
Dentro al materno ventre la sua piaga:
Ch’indi rinascon poi con maggior forza;
635O penetrando il giel le parti interne,
Del calor natural la vite spoglia.
Dunque dal suo pedal d’un dito almeno
Lontan l’incida: e non ritornan poi,
E ponno esso guardar da mille offese.
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