Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
lxxxi
Nè rimase al suo scudo il resto sano,
Ch’anco l’ultime tre tutte piegaro,
E sentì dentro al braccio e nella mano
L’armorico guerrier dolore amaro;
E dubita in fra sè ch’al sovrumano
Poder di Seguran non fia riparo
S’altra percossa ancor simile attenda
Pria che lui gravemente non offenda:
lxxxii
E con forza maggior che mai battesse
La siciliana incude aspro ciclopo
L’elmo di nuovo al fero Iberno presse
Sì ch’averlo sì buon gli venne ad uopo;
Però ch’allor senza suo danno resse
Al più grave furor che prima o dopo
Potesse sostenere, e mostrò in parte
Quanto sia da pregiar l’incantat’arte,
lxxxiii
Che per ordin sacrato di Merlino,
Col favor delle stelle, fabbricato
Fu da i più dotti spiriti, e ’l ferro fino
Nelle stigie riviere era temprato:
Chè mentre Seguran caro vicino
Della Fata del Lago in dolce stato
Seco si ritrovò, quest’elmo tale
Fu di lei don che mai non ebbe eguale.
lxxxiv
Fu lo scampo di lui dunque in quell’ora,
Che ’n fin sopra la sella in due diviso
Il fero busto dell’Iberno fora,
Ch’esser per altra man deveva anciso.
Riman tutto smarrito, e cade fuora
Dell’alta sede il naturale avviso:
Ma non lunga stagion, chè l’alma chiara
Sforzò se stessa, di vendetta avara;
lxxxv
E qual nodoso ramo, uscendo fuore
Dal tronco estremo e che ’l cammino ingombra,
Che con ambe le mani il viatore
Torce in traverso, e ’l suo passaggio sgombra,
Che poi ch’è rilassato in tal furore
Al seggio torna ove solea far ombra
Che chi a dietro riman sì ben percuote
Che mal reggersi in piè sovente puote:
lxxxvi
Tal lo spirto di lui sì basso spinto
Dal possente ferir sopra il cimiero
Più che fosse ancor mai d’orgoglio cinto
Disdegnando risurge ardito e fero;
E ritruova Tristan che s’era accinto,
Per ritrar della palma il frutto intero,
Ad un colpo novel, che se ’l giungea
Nel disegnato fin posto l’avea.
lxxxvii
Ma il forte Seguran nel destro braccio,
Mentre ch’alza la spada, il colpo stese,
E ’l finissimo acciar qual vetro o ghiaccio
Dal taglio micidial poco il difese,
Che ’ntorno si schiantò: pur tanto impaccio
Diede al furor che molto non l’offese,
Quantunque pur del sangue ch’indi uscìo
Sopra l’arme apparisse un picciol rìo;
lxxxviii
E la spada e la man si china a forza,
Che non può contrastar, sopra la coscia:
E se non che ’l buon cor troppo si sforza
La natura cedea forse all’angoscia.
Ma il vivo spirto ogni dolore ammorza
Che ’l corpo offenda, e si può creder, poscia
Che rilevato il brando si riserra
Verso il crudo nemico a maggior guerra;
lxxxix
Il qual rivolto a lui: Chiaro Tristano,
Ben devreste apparar, dicea, per pruova
Ch’al maturo valor s’oppone in vano
L’ancor giovine forza e l’età nuova;
E quanto e come alla possente mano
La lunga esperienza in arme giova,
E non basta l’ardir, s’e’ non si mesce
Col senno poi, che ’l suo migliore accresce.
xc
Non risponde Tristan, ma d’una punta,
Quanto più salda può, truova lo scudo
Ove il nero dragon la lingua spunta,
Tinta di verde tosco e ’n vista crudo:
Passal tutt’oltra, e sopra ’l braccio giunta
Trapassa il ferro come fosse nudo,
E di sangue irrigò tutto il sinestro
Non men ch’ei prima a lui facesse il destro;
xci
Poi disse altero: E Seguran comprenda
Quanto al giovin poter sia il senno frale,
Per saldo contrastar, ch’ei non l’offenda
Ove più del saper la forza vale.
Qual vipera mortal che ’l sole accenda
Quando del suo cammin più in alto sale
Si fece il cavalier mentr’ode e sente
Non più il braccio impiagarse che la mente;
xcii
E con sì gran furor muove il destriero
E ’n così angusto giro l’ha rivolto,
Che ’ntricandosi i piè sopra il sentiero
Si truova steso, e ’n fra l’arene avvolto:
E quantunque il cadere al gran guerriero
Tutto il suo destro lato offese molto,
Pur l’industria e ’l valor sì ben raccoglie
Che del peso ch’avea tosto si scioglie.
xciii
Ritorna in alto, e più che mai s’accinge,
Richiamando il nemico, a nuova guerra:
Nè il cor tema gli agghiaccia o ’l volto pinge,
Di gir contra un corsier soletto in terra.
Alza il percosso scudo e ’l ferro stringe,
E per la sua vendetta il passo serra;
Ma il pio Tristan, come levato il vede,
Con un salto leggier si mise a piede,
xciv
Dicendo: Io non so ben se ’l senno antico
Mi devesse insegnar tòrre il vantaggio,
E se chi sia cortese al suo nemico
È da i vostri dottor chiamato saggio;
Ma sia che vuol, che per fidato amico
Più l’onor sempre che ’l profitto avraggio.
A cui l’altro risponde: E ben si deve,
Che quel vive immortale, e questo è breve;