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xi
     Egli avea gran drappel sempre d’intorno
De i più famosi duci e cavalieri,
E disciolto da gli altri in ogni corno
Va calcando di fuor tutti i sentieri;
E d’onde veggia uscir dannaggio o scorno
Ivi addrizza spronando i colpi fieri:
E poichè l’ha ridotto al primo stato
Torna il corso e la spada in nuovo lato;
xii
     Sì che ’l sommo valor di Segurano,
Quantunque noccia pur, non troppo sforza,
Nè d’Arturo e de’ suoi la pronta mano
Può molto contra lui stender la forza.
L’uno e l’altro di lor sospinge in vano,
Ch’eguale è d’ambedue la poggia e l’orza:
E ferendo di par ciascuna torma
Non si scorge ivi piè che cangi l’orma;
xiii
     In guisa che talor cruccioso il mare
Veder si suol nell’orrida stagione
Che di contrarie parti oda soffiare
L’austro piovoso e ’l frigido aquilone
In mezzo a i due furor saldo restare,
Che quanto ha tolto l’un l’altro ripone,
Ma pien di spuma al tempestoso assalto
Con feroce mugir levarse in alto.
xiv
     Ma poi che Seguran più d’una volta
D’oppressar l’avversario indarno tenta,
Di Clodasso al parlar l’animo volta
E del pio Clitomede si rammenta:
E dove ei veggia men la schiera folta
E più largo il cammin, ratto s’avventa,
E ’n voce altera e di chiarezza piena
Traversando il destriero i suoi raffrena.
xv
     Poi levata la man di pace in segno
Ove Arturo vedea torna lo sguardo,
Che già, per non si far di biasmo degno,
In fermar i guerrier non fu più tardo;
Indi comincia a lui: Se non sia indegno
Il novel mio desire onde tutt’ardo,
Poi ch’all’intera guerra oggi la fine
Mostran negarne le virtù divine,
xvi
     Invittissimo Arturo, non vi spiaccia
Ch’un de’ vostri migliori incontro sproni
A quest’arme ch’io porto, e pruova faccia
A cui Marte di noi vittoria doni;
E chi sia che de i due vinto soggiaccia
Con morte o con prigion, non si ragioni
D’altro danno maggior che d’esser detto
Men del suo vincitor guerrier perfetto.
xvii
     E chi la palma avrà, l’arme e lo scudo
Solo all’albergo suo lieto riporte,
E che ’l resto tra i suoi si torni ignudo
Perchè possan di lui pianger la morte,
Chè non ben si convien l’animo crudo
Contr’a chi giunse al fin d’umana sorte:
Ma il desio di vendetta che ne preme
Aggia il termine suo co i giorni insieme.
xviii
     Venga dunque chi vuol fra tanti e tali
Famosi cavalier d’invitto core
Cui di spiegare al ciel candide l’ali
Della vera virtude accende amore;
E chi desia con l’opere mortali
D’immortale acquistar fra i degni onore
Non sprezze il mio chiamar, che raro è presta
Così bella cagion com’oggi è questa.
xix
     Quando ascolta il gran re l’altero invito,
Con quei duci maggior che ’ntorno avea,
Del cavalier che non più il core ardito
Che poi pronta la mano aver sapea,
Tacito resta, e sopra il verde lito
Senza altrove guardar gli occhi tenea;
Nè gli preme il pensier nuova paura,
Ma di quel che dee far dubbiosa cura.
xx
     E mentre è in tale stato, e che ciascuno
De i miglior cavalier sua voglia attende,
Surge Gaven dicendo: Se nessuno
Di gir contro a costui l’impresa prende,
Io, famoso mio re, sarò quell’uno
Che d’intero servar la voglia intende
L’onor de’ vostri, e non fia indegna mano
D’ammorzare il furor di Segurano.
xxi
     E per questa cagion forse la piaga
Ond’io fui punto allor d’ascosa parte
M’ha il figliuol di Merlin con arte maga
Salda in un punto e con divine carte,
Per due volte mostrar che non si smaga
Il valor che ministra il fero Marte;
E s’altro nuovo stral non venga ascoso,
Farò il nome britanno oggi famoso.
xxii
     Poi ch’ha così parlato, altero chiede
Che gli apportin la lancia, e già s’invia;
Ma ’l saggio accorto re che l’ode e ’l vede
In troppo alto corruccio ne salìa,
E gli dice: Cugin, dov’oggi siede
Quel già lodato senno che solìa
Esser sì largo in voi, ch’al vostro oprare
E vie più al vostro dir perduto appare?
xxiii
     Non v’accorgete voi, semplice, come
Gite al nostro disnor con vostra morte?
Non è l’omero vostro a sì gran some,
Come saria mestier, possente e forte.
Altre armi ha rotte, altre fierezze ha dome
L’invitto Segurano, e d’altra sorte
Che le vostre non son, sì come mostra
Con mille region la terra nostra.
xxiv
     Forse sperate in van che ’l crudo sdegno
Che v’arma contro a lui di Claudiana
Vi devesse portar con l’ira al segno
Dell’alta sua virtude, a noi sovrana?
Non lascia il basso amor l’animo pregno
D’altro valor che di lascivia umana,
Nè scalda il suo vapor l’altero loco
In cui del quinto ciel s’accende il foco.