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xxv
Con l’abito ducale Stilicone
Spronar si scorge e confortar le schiere,
Ch’or al corno sinistro l’arme oppone,
Or nel destro che vien percuote e fere:
In fin che interamente a basso pone
Le minaccianti gotiche bandiere
E che tanti di lor vede per terra
Che senza dubbio aver vinta è la guerra.
xxvi
Il miser Radagaso ivi apparìa
Che la veste real da sè spogliata,
Senza compagni aver, ratto fuggìa
Per deserta montagna a lui celeta:
Ma il fa incontrar la sua fortuna ria
Gente che di quei luoghi ammaestrata
Sovra il giogo dell’Alpe asceso il prende,
E ’n man di Stilicon legato il rende;
xxvii
Il qual senza pietà la regia testa
Del suo busto crudel fece privare,
E l’altro popol suo che ’n vita resta
Per prezzo a servitù perpetua dare.
Poc’oltra si vedea non meno infesta
Altra gotica insegna radombrare
Dell’infelice Italia il seno aprico,
Che ’n fortuna miglior segue Alarico:
xxviii
Al quale è Stilicon, non men ch’allora,
Con la medesma gente a fronte gito.
Ma più lunga stagion con lui dimora,
Or quel colle ingombrando or questo lito,
Chè, senza l’arme usar, prolunga l’ora
Con più torto pensier che forse ardito:
Poi nel fin gli dà pace, e gli concede
D’Aquitania il terren per propria sede.
xxix
Nè molti giorni poi che senza cura
Vide il goto furor restarsi in pace,
Nel silenzio maggior di notte oscura
Che tra ’l sonno e tra ’l vin sepolto giace,
Quel ch’all’aperto sol gli fèa paura
Tenta di far, ma il suo pensier fallace
Mal conseguito al fin, dannoso e vòto
Fu per l’alto valor del fero goto:
xxx
Che in sì ostinato ardir gli batte il fianco,
Che l’insidie scoperte in fuga volge.
Nè potè Stilicon lo stuolo stanco
Ritener più, che fredda tema involge;
Così ’l suo disegnar venuto manco,
Nel cammino onde venne si rivolge,
E vinto dal furor con ratto piede
La palma e ’l loco al gran nemico cede.
xxxi
Poscia adunata ancor novella aita
D’altra guerra mortal si pone in pruova,
Ch’assai men della prima al ciel gradita
Più ch’ancor rotto e vinto si ritruova;
La cui calamità poi ch’ebbe udita,
Oltr’ogni creder suo dannosa e nuova,
L’imperatore Onorio giovinetto
Ch’ei gli sia disleal prende sospetto:
xxxii
E senza cura aver del nome pio
D’esser suocero suo, nè della figlia,
Poi ch’appellato fu nemico e rio
Con quel ch’amava in prima a meraviglia,
Euchero il figliuolo, acconsentìo
Di far del sangue suo l’erba vermiglia;
Ma il discreto pittor nell’aspra sorte
Tutta colma d’onor ritrasse morte.
xxxiii
Poc’oltra si vedea soletto andare
Per monti alpestri il fido Marialle,
E ’l picciolo Iraconso via portare,
D’Euchero figliuol, sopra le spalle
Per l’ombre ascoso, e le giornate chiare
Fuggir temendo e l’abitato calle,
Tanto ch’al fin, come a fedel amico,
Il pose in man del gotico Alarico;
xxxiv
Che con paterno amore in guardia il prese
E ’l tenne infino al dì ch’abbatte e doma,
Quasi al terz’anno, in sì crudeli offese
Il seggio altero della nobil Roma.
Indi adornato di reale arnese
E di ricchi tesor con larga soma,
Securo il manda nel paese ispano
Ove regnava il vandalo Marano;
xxxv
Il qual, di Stilicon sendo cugino,
Avea col suo favor tutto acquistato
Degli alti Pirenei l’aspro confino,
E lo scettro tenea di ciascun lato:
Che quanto alla Garona era vicino
Dall’aquitano ocean circondato
In Gallia possedeva, e nella Spagna
Ciò che il cantabro mare e Linia bagna.
xxxvi
Lì si vede il fanciul così nodrito
Come uscito di lui, con somma cura;
Poi di Clodia suoa figlia esser marito,
E d’acquistargli un regno assai procura:
Tanto che de i Xantoni il fertil lito
Con insidie e con forza a i Galli fura,
Di cui fatto Iraconso eterno erede
Dell’amata sua Clodia un figlio vede;
xxxvii
E ’n memoria di lei Clodio l’appella,
Ma il Vandalo vulgar volse in Clodasso:
Che poi crescendo per l’età novella
Seguìo degli avi il glorioso passo.
Lì giovinetto ancor sopra la sella
D’un feroce corsiero or alto or basso
Si vedea rivoltarlo, or sciolto il morso
A’ suoi caldi desir muoverlo a corso;
xxxviii
Poc’oltra andar, poi che l’età fiorìa,
Tra infiniti guerrier di ferro cinto
Più inverso i Celti, e quanti truova in via
Ha con pace acquistato o in guerra vinto:
Nè il gir vittorioso gli desvia,
Nè l’ha fatto più tardo o ’ndietro spinto
Ceranta, Seura, Lindro, Vienna e Cera
Ch’e’ non meni il suo stuol vicino a l’Era;