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     Ch’io intendo visitar del sacro Marte
Il gran tempio divin con loro insieme,
E delle palme mie donargli parte,
Onde il crudo Britanno e ’l Gallo geme,
Pregandol ch’ei risvegli i cori e l’arte
E l’antico valor del primo seme
Ne i nostri duci illustri, e meni a morte
Il possente Tristano e ’l rio Boorte.
xii
     A Polidetto poi comanda: Andrete
Alle caste matrone d’ogn’intorno,
E per nome d’Albina lor direte
Che vengan ratte al suo real soggiorno
Dispogliando da sè le vesti liete
E dell’aurato vel l’abito adorno,
Per gir di Palla alla virginea soglia,
Che rivolga in dolzor la nostra doglia.
xiii
     Così detto Clodasso, ivi s’accinge
L’uno e l’altro di lor tacito all’opra,
I più pigri e i lontan muove e sospinge,
E per tutto adempir l’ingegno adopra.
Ma la turba devota si dipinge
Tale in cor lo sperar che vien di sopra,
Che muove senza spron veloce il corso
Ove credea trovar pace e soccorso.
xiv
     La dolorosa Albina e Claudiana
Con voler del gran re muovono il passo
Sospirando fra lor la sorte umana
E ’l viaggio mortal gravoso e lasso,
E che la condizion regia e sovrana
Non è sempre miglior che ’l viver basso;;
E ’n tai foschi pensier, con pochi a tergo,
Si ritruovan condotte al properio albergo:
xv
     E montate di lui l’altere scale,
I suoi ricchi tesor truova ciascuna,
E quel che sia più degno e che più vale,
Per discerner poi meglio, insieme aduna;
E l’esperte donzelle in opra tale
Son chiamate al consiglio ad una ad una,
Che in sua donnesca e semplice ragione
In mezzo pon la propria opinione.
xvi
     Ma intanto d’ogn’intorno si vedea
Delle donne apparir l’egregia schiera,
Delle quai tutte accoglier cura avea
La vecchia Ormunda con la vaga Aldera
Dentro al ricco palazzo, ove splendea
Di mille statue d’or la corte altera;
E ’n seggi ricchi poi di sete e d’ostri
Le faceano asseder per gli ampi chiostri,
xvii
     Dicendo poscia in bel pregar soave
E con dolci parole e pellegrine
Che non venisse lor noioso e grave
D’alquanto ivi aspettar l’alte regine.
Ma la più giovin turba, che sempre ave
Bramoso il cor di viste peregrine,
Scolta d’ogni altra cura, andava intorno
Riguardando il più bel del loco adorno:
xviii
     Ove dentro apparia la regia soglia
Di ricchissime logge e d’atrii adorna,
Non men lucenti ch’al buon tempo soglia
Surgere in Tauro il sol quando s’aggiorna.
Le superbe colonne furo spoglia
Del bel paese assiso in tra le corna
Del gran Rodan famoso e di Garona,
Ove al Gallico mar sedea Nerbona:
xix
     Ch’allor ch’ella co i suoi nel sangue avvolta
Della vita e de i ben nuda rimase
Per la man visigota, e ’n cener volta,
Come l’empio furor le persuase,
Quella più integra parte indi raccolta
Di pietre atte ad ornar le regie case
Mandò a Clodasso il giovine Odorico,
Che fu sempre de i suoi perfetto amico.
xx
     Eran d’egregio stil nel muro stese
Del fero Stilicon le glorie antiche,
Che per patria ebbe il vandalo paese
E le stelle al principio troppo amiche;
Del gran seme del qual Clodasso scese,
Ma dentro a regioni assai più apriche
Di quelle onde i suoi fur, però ch’ei nacque
Ove Linia e Duero insalan l’acque.
xxi
     Lì Teodosio il grande si vedea,
Che del nome roman reggendo impero
A gli estremi suoi giorni in man ponea
Di Stilicon sotto l’arbitrio intero
Il figlio Onorio, a cui lassato avea
De i liti occidentai lo scettro altero,
Il qual poi giovinetto l’obbedìo
Qual maestro onorato e padre pio,
xxii
     Sì ch’a sposar contento si conduce
La figlia Euchera, nè di lei si sdegna,
Ma d’appellar lei sola scorta e luce
De’ segreti pensier l’ha fatta degna.
Indi il suocero suo rettore e duce
Si vede andar d’ogni romana insegna
Contra il Gotico popol, che infinito
Ingombrava d’Italia il nobil lito
xxiii
     Sotto il furor del crudo Radagaso,
Che fu il primo tra’ suoi di tanto ardire:
Nè di fame timor, nè d’altro caso,
Nè l’Alpi o l’Appennin potè impedire
Ch’ei non venisse ove in più altero vaso
Vede il picciol Mugnon l’onda sua gire
Tra i monti Fiesolani, ove a Fiorenza
Guastò il nido gentil la ria semenza.
xxiv
     Tra l’aquile romane Uldino e Saro,
Degli Unni duce quel, de i Goti questo,
Si vedea tratto da disegno avaro
Contra i medesmi suoi venir molesto:
Ivi han serrato l’avversario amaro
In luogo a’ suoi disegni agro e funesto,
Dentro apre valli, intra sassose strade,
Ove con tutti i suoi misero cade.