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xi
     Nè fallace pensiero il cor v’ingombre
Ch’or pien d’altro poter che dianzi furo:
Ma s’allor come nebbie, or fien com’ombre,
Che ’l passato timor cresce il futuro.
Ogni dubbio ciascun dall’alma sgombre
Che gli mostre il cammin più alpestro e duro
Dell’altro infino ad or, ma fermo creda
Che quanto oggi veggiam sia nostra preda.
xii
     Come ha detto così, lassa Baveno
Che nell’ordine usato gli ritegna;
Poi sprona avanti, ove d’orgoglio pieno
Truova Clodin con la primiera insegna.
Tosto il conosce, e regger non può il freno
All’ardente desio che in esso regna
Di ritrovarse in pruova contro a lui,
Per la conforme età ch’è in ambedui,
xiii
     E l’appella da lunge: O re famoso
Dell’altrui povertà sì ricco e altero,
Se voi siete d’onor tanto bramoso,
Come vi vede ogn’uom, di torto impero:
Volgete or verso me quel ferro odioso
Ch’è sol contro a i più vili ardito e fero,
E per pruova veggiam se sia men forte
Di quel che fu Gaven con voi Boorte.
xiv
     Gli rispose Clodin: Null’altro bramo
Che con voi ritrovarmi oggi a battaglia:
In cui spero ottener di palma il ramo,
Se non bene incantata avrete maglia.
E perchè più il dever che l’util amo
E non vo’ che vantaggio alcun mi vaglia,
Questa lancia ch’ho in man lasso da parte,
E ’l medesmo farei se foste Marte.
xv
     In tai parole l’un ver l’altro sprona
Pien d’ardente desio di gloria vera.
Clodin fu il primo ch’al nemico dona
Sopra la fronte, e d’atterrarlo spera:
Ma l’altro alza lo scudo, e in esso suona
La spada indarno, e pur rimase intera,
Se ben piegosse alquanto; ond’ei turbato
Biasmava nel suo cor le stelle e ’l fato.
xvi
     Ma di Gave il guerrier con altra possa
Abbassando la man, nell’elmo il prende,
In cui fece cadendo ampia la fossa,
Nè però infino al capo il brando scende:
Ma l’intonò sì forte la percossa,
Che la briglia abbandona e ’l braccio stende,
E saria in terra in poco spazio scorso
Se non avea da’ suoi tosto soccorso.
xvii
     Ma Rossano e Grifon dell’Alto Passo,
Ch’allor da Seguran compagni prese,
Sostegno fur ch’ei non cadesse in basso;
E Pilarte a Boorte il corso stese
Qual di fromba talor rotondo sasso,
E con la lancia all’omero l’offese
Nel destro lato: e ’l colpo fu più duro
Che regger non porria colonna o muro.
xviii
     Pur sopra il suo caval fermo si tenne,
Se ben nella sinistra torse alquanto.
Ma poi ch’all’esser suo dritto rivenne,
Si volge al feritor che torna intanto
Dicendo: Aspro guerrier, se non hai penne
D’aquila o di falcon, fia breve il vanto
Che potrà per tua lingua essere inteso
D’aver contro a ragion Boorte offeso.
xix
     Poi con tutto il poter drizza una punta
Che scoperto il trovò nel lato manco,
E dividendo il cor di dietro spunta
Nell’osso più vicin del destro fianco.
All’estrema ora sua l’anima giunta
Lassò il terrestre vel pallido e bianco,
Onde freddo convien che a terra vada;
E dell’arme al romor sonò la strada.
xx
     Indi il leve destrier ratto ritorna
Al drappel che Clodin gli asconde e chiude,
Gridando: O schiera di colori adorna
Assai più che d’onore e di virtude:
Che fa il vostro gran duce, a che soggiorna?
Ch’io mi credea che fosse eterna incude
Contra i colpi di noi guerrier negletti;
Or si fa scudo a me de’ vostri petti,
xxi
     Come picciol fanciul di madre soglia
Contro all’ape a cui il mel furato avea.
Ma poi che m’è per voi tolta la spoglia
Della qual già vestito mi tenea,
Il danno sopra voi forse, e la doglia,
Porria versarne la fortuna rea,
Per far palese come stolto adopre
Chi per altrui coprir se stesso scuopre.
xxii
     E ’n questa s’avventò sopra Rossano,
Che dell’alta Pannonia avea le schiere,
Il Selvaggio appellato, perch’è strano
Di costumi, di volto e di maniere:
Ma il core ardito e pronta avea la mano
Quanto buon cavalier potesse avere.
Or vedendo il nemico ch’a lui spinge
Spiegando il suo valor la spada stringe,
xxiii
     E studia nel ferir d’esser primiero.
Così mosso il caval veloce e lieve
Percuote, in vista minaccïoso e fero,
Il ben ferrato scudo saldo e greve:
E ben che, essendo tal, restasse intero,
Quanto avesse già mai danno riceve.
Boorte in sè di maraviglia avvolto
La virtù del Pannonio apprezza molto,
xxiv
     E gli dice: Signor, d’oscure spoglie
Ma di chiaro valor vi sento ornato.
Così spesso veggiam do sozze foglie
Il frutto provenir dolce e pregiato,
Chè ’l sembiante di fuor non dà nè toglie
Il buono o ’l reo che n’han le stelle dato:
E se nel giudicare oggi non fallo,
Devrebbe esser Clodin di voi vassallo.